Le Bandite di Scarlino - Reaching Cala Violina beach [64km 1500m+]

"......ma la presenza di diversi agriturismi ci lascia ancorati alla civiltà"

In quarantena mi ero accorto di aver un po’ perso il contatto con la natura. Lo avevo parzialmente recuperato sui colli di Massaciuccoli la settimana prima di questo giro. Mi trovavo con il Ghela (aka Mullah), quando una bomba d’acqua ci ha colti alla sprovvista e abbiamo rischiato di tornare a casa in canoa. Ma non mi era bastato. Mi serviva qualcosa di più, un contatto diretto. A me piacciono i sassi e, mi piacciono così tanto che a questo giro ho provato a mangiarli. A malincuore devo ammettere che mi piace di più l’asfalto.

 Caricate le bici in macchina siamo partiti da Pisa. Destinazione Bagni di Gavorrano, dove abbiamo parcheggiato. L’obiettivo era passare da Tirli per raggiungere Cala Violina ad un’ora decente. Giusto per incastrarci un bel tuffo nel mare. Era doveroso, visto che, proprio questo giorno, la temperatura ha deciso di varcare la soglia dei maledettissimi 30 gradi. Ma abbiamo cominciato a pedalare alle 10 e passa, come potevamo sperarci?Dopo una colazione con delle paste di cartone, partiamo a pedali in direzione Gavorrano. Per raggiungerla imbocchiamo prima una sterrata dietro la piscina comunale e ci colleghiamo alla provinciale subito in salita, ma fortunatamente all'ombra. Troviamo un buon punto panoramico alle porte del paese, nei pressi del cimitero comunale. 


Costeggiamo, poi, le mura e ci fermiamo a prendere un bel pezzo di stiaccia con pecorino a crudo ad una botteghina nella piazza centrale. Scendiamo così lungo la statale lasciandoci sulla destra il Parco Minerario Naturalistico. Fatti un paio di tornanti in discesa abbandoniamo finalmente l’asfalto, per imboccare una sterrata nel bel mezzo di una cava. Non ho ben capito se fosse attiva o meno, la ruggine sugli impianti industriali spesso mi confonde. La strada è davvero in ottime condizioni e sale dolcemente. Sebbene diversi tratti non siano coperti dalle fronde di alberi, l’alta vegetazione che delimita il sentiero rende la salita molto piacevole. Complice anche l’ottimo terreno compatto e totalmente privo di pietre smosse. 


Ricalcando una serie di mangia e bevi, attraversiamo la località di Viviano per continuare a salire su una strada bianca ben battuta. Par d’essere sperduti in mezzo a dei colli, ma la presenza di diversi agriturismi ci lascia ancorati alla civiltà. Lasciamo sulla destra il Poggio la Croce e saliamo strada Vicinale della Croce, per il monte d’Alma. Non la percorriamo tutta; infatti giunti ad un tornante si presentano tre opzioni. Sulla destra la forestale continua a salire, di fronte una carrareccia (sbarrata) scende e, sulla sinistra, parte un sentiero in discesa, segnato come M1 - il “Tre Dita”. Infiliamo quest'ultimo. Ecco, non so secondo quale logica è stato classificato M1, forse anni fa. Adesso si presenta come un infinito rock garden molto scavato, che costringe non solo a mettere piede a terra, ma a percorrerlo proprio a piedi per più della metà della sua lunghezza. 

Era inevitabile passarci, per evitare un enorme giro pesca. Io e il Monty non siamo assolutamente dei pro, ma sfido chiunque a non smusarsi con la front su quelle rocce polverose. Comunque il colore caldo della terra gialla, con la vegetazione mediterranea che incorniciava il sentiero, ha reso il portage godibile. Sbuchiamo così nel bel mezzo delle Bandite di Scarlino, in località Sant’Anna. Saliamo così sulla sinistra lungo la forestale n. 32. Un’autostrada ben tenuta, ma che - porco di un cane - alterna dei piccoli tratti in leggera discesa a degli strappi che arrivano fino al 14%. Dato il caldo e l’assenza di ombra, di tanto in tanto è stata richiamata l’attenzione di qualche santo. Sebbene il ridente borghetto di Tirli non fosse così distante, ci fermiamo a consumare la nostra stiaccia all’eremo di Sant’Anna.

Di fronte a questo anonimo edificio religioso troviamo dei tavoli di legno all’ombra davvero ottimi per la sosta. Non siamo soli. Qualche metro più avanti, una allegra comitiva di genti venute dall’est aveva imbastito una grigliata. Declinato un primo invito a condividere con loro delle salsicce, le sinniore al tavolo, probabilmente ammaliate dal fascino del Monty, ci offrono della grappa e del cognac rumeno. Cosa fai? Non gli puoi mica dir di no di nuovo! Sono solo le due del pomeriggio e un sole africano ci cuoce le teste; cosa vuoi che ci facciano due dita di grappa. Temo che il Monty volesse farmi fuori, per la polvere che gli ho fatto mangiare per tutta la mattinata in salita.

Come già anticipato, il suo diabolico piano è andato a buon fine; ma ci arriveremo tra poco. Ci congediamo da quello che sarebbe sicuramente diventato un rave party a luci rosse nella selva, per dirigerci verso Tirli. Mi aspettavo di trovare un po’ di vita, bar aperti, un po’ di movimento. Ricordavo che i cacciatori erano soliti mettere il proprio nome sulle sedie dei bar. Invece, 3 anime non troppo vitali e un solo bar aperto. Peccato, ci son rimasto male. Dannato Covid. Da quando abbiamo ripreso a girare, post pandemia, la vita nei paesi mi sembra più fiacca e desolata. Lasciamo Tirli lungo una carrareccia che scende, costeggiando il Poggio Ballone, sul fianco ovest. Terra ocra, polverosa, strada molto panoramica. Si aprono diversi scorci con vista mare, colli verdi e campi dorati. Una tipica cartolina della Toscana.

Appena la strada inizia a scendere brucio il Monty sul posto e aumento il ritmo. Mi sentivo parecchio in forze e concentrato. Scendo bene, baldanzoso, arrogante. Forse troppo, sarà colpa della grappa? La carrareccia costantemente diventa più ripida, poco male. Spuntano delle rocce, male - fortunatamente sono ferme. Spuntano rocce smosse, molto male. Provo a pinzare, ma non rallento. Perdo aderenza a più riprese, sto rimbalzando. Borda! Ci risiamo! Già l’odore della terra odor di grano, sale adagio verso me. Il dolce richiamo della terra; da quanto non lo sentivo. Lo schianto è imminente e non so bene cosa provo a fare. La corsa finisce con una planata su un’ampia avvallatura piena di pietre, come uno di quei gonfiabili per bambini. Peccato che al posto delle deformabili palline colorate di plastica, mi hanno accolto dei durissimi sassi spigolosissimi e caldissimi. Non so bene cosa sia successo di preciso. Al botto è seguita la classica amnesia post volo. Il copione solitamente prevede di alzarsi e andare a controllare la salute della bici. Ma no, stavolta no. La catena aveva attaccato un morso ad uno dei miei cotechini. Mi aveva lasciato un buco che mi ha fatto sbiancare. Lo spavento prova a prendere il sopravvento. 


Fortunatamente sopraggiunge il dott. Monty, chiaramente appagato per avermi condotto allo schianto. Togliendosi di dosso soddisfatto la polvere fino a qui accumulata, ripassa tutte le nozioni sul pronto soccorso prestandomi aiuto. Dà fondo alle riserve di collagene-ghiaccio-spray (na robba bellissima, potessi me la mangerei) e prova a tappare lo scavo sulla gamba. Nel mentre, prosciugo le scorte di boccettini lunghi per non perdere il morale. Non so bene come, mi rimetto non solo in piedi, ma anche in sella. Fatto sta che proseguiamo il giro. La discesa era pressoché terminata e ci ritroviamo sulla statale SP 158, in località Pian d’Alma. Ne percorriamo un centinaio di metri per poi lasciarla sulla sinistra, imboccando la strada che porta alle calette e alle spiagge più note della zona.

Dei suggestivi campi di grano e una leggera brezza ci accompagnano verso il mare. La sterrata che costeggia la costa è ben segnalata e davvero ben tenuta. Incontriamo una serie di bagnanti che tornavano ai propri mezzi. Data la foga di arrivare sulla spiaggia non sfruttiamo il più facile accesso a nord, ma ci fermiamo al primo ingresso, che ci costringe a caricare le bici in spalla per percorrerlo. La meta del giro è raggiunta: Cala Violina. Ma a che prezzo? Di tanto in tanto incrocio lo sguardo basito di qualche bagnate, nemmeno avessero visto la figliola di Fantozzi. Purtroppo il mare era un po’ sporco e date le condizioni in cui gravavo, optiamo solo per una breve sosta. Giusto il tempo di contemplare la bellezza del creato che ci circondava.

Ci rimane, così, da finire di percorrere la sterrata fino allo Spuntone di Scarlino e da lì salire in paese. Una serie di punti molto panoramici ci costringono a piccole soste sotto i pini. Ammirato il porticciolo dello Spuntone, completiamo senza grosse difficoltà gli ultimi metri di dislivello su asfalto. Ci concediamo una birretta ad un bar del borghetto di Scarlino, giusto perché non ci eravamo fermati abbastanza. durante la giornata. Riprendendo la statale ci riportiamo alla macchina per rientrare a casa giusto giusto per l’ora di cena.

Arriva così il momento della conta dei danni: qualche graffio di poco conto sulla bici, un solco sulla lente degli occhiali, cellulare incurvato, due mongolfiere sulle ginocchia, cotechini ammaccati, un buco a fianco del ginocchio e braccio destro affettato. Datemi due settimane e torno nuovo. 
Vi ricordo che sono una patata appoggiata su di un sellino, per cui non prestate troppa attenzione alle mie cadute. Il giro è molto panoramico, facile e assolutamente consigliato, specialmente con una front. Le fonti d’acqua non sono un grosso problema, dato che si incrociano diversi paese. Il tratto più scoperto risulta quello tra Gavorrano e Tirli, dove si affronta il grosso del dislivello del giro.


64km 1500m+

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PS: dovevo trovare una scusa per sottrarmi al trasloco di Erica. Sono stato una settimana con le stampelle, missione compiuta.

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