Cancellino CAI 5 - Inside Appennino tosco-emiliano [25km 1500m+]

"Amo questi momenti in cui il respiro e la brezza tra gli alberi diventano una cosa sola......"


La quarantena non è solo l'occasione per scoprire che hai pure una moglie e due figli o il privilegio di togliersi il pigiama a pomeriggio inoltrato.......è sopratutto un occasione per riaprire cassetti polverosi dove, rufolando, ritrovi cose preziose come questo giro in Appennino immerso nel Parco Regionale del Corno alle Scale. E' stato anche il mio addio alla full e a quella visione fallocentrica tipica dell'enduro e a posteriori sono contento che tutto sia finito come è cominciato anni fa, sulle rive del Boggiolo, mano nella mano con la compagna di sempre..... la Ale.

La giornata comincia all'insegna dell'inettitudine:  nonostante 3 navigatori (1 auto + 2 smartphone) Orsigna si sfugge, a questo si aggiungono le difficoltà nel decifrare le informazioni analogiche che ci vengono fornite ("si ma chi cerchi?!/"segui dianzi il botro"/ "gira dopo casa della Gianna"). Alla fine giungeremo al piccolo borgo col metodo infallibile del Filo di Arianna.

Orsigna scoppia di gente, pare Forte dei Marmi a Ferragosto. Parcheggiare il SUV di Ale in paese è improponibile, passiamo quindi il pittoresco Molino di Berto e abbandoniamo l'auto sul ciglio della strada proprio di fronte all'imbocco del CAI 5, punto in cui terminerà il nostro itinerario.
Di lì comincia la nostra lenta ascesa al Rifugio Porta Franca. I primi due km di asfalto corrono lungo il torrente Orsigna; il cartello (poco rassicurante) che ci allerta sulla presenza di cani da gregge segna l'inizio di una bellissima strada forestale tenuta in maniera impeccabile; saliamo agili verso la località Pian Grande all'ombra degli imponenti faggi che ci riparano dalla calura estiva. Il bellissimo contrasto dei fusti pallidi col verde fotonico del fogliame mi allietano per tutta la defecazione; sono talmente stordito dalla bellezza del luogo (e in generale) che mi dimentico pure la action cam accesa durante tutta la purga.

Si sale su discorrendo del più e del meno, non mi passa neanche per l'anticamera del cervello di abbandonare l'enduro; le due settimane di cucina croata che seguiranno mineranno pesantemente questi convinzioni. Dopo circa 7km e mezzo deviamo a dx sul CAI 35 salutando la nostra cara forestale per immergerci nella fitta boscaglia; percorriamo un sentiero che tra fondo sporco e strappi assurdi non ci regalerà nulla di quei 100 metri e passa di dislivello che ci separano dal rifugio Porta Franca. Si va di spintage e bestemmiage. Sui tavoli antistanti il Porta Franca, tra un sorso di Coca, un morso di crostata, e il sole a scaldare gli scalpi si snocciola di sentieri e restauro lambrette.......l'anagrafica conta poco a queste latitudini, è la curiosità a farla da padrona.  Ritrovo pure una insospettabile collega a dare manforte alla gestione del Rifugio (da sempre i monti danno ristoro/sepoltura ai libero professionisti). Ci spalmeremmo volentieri a sonnecchiare sulle sdraio come canotti forati (citaz.)  ma il dovere chiama.

Guadagnamo quindi i 1600 metri di altitudine e con essi le vaste praterie che dominano queste cime.  [Segue concezione lucchese della mtb]Seguendo le indicazioni di Charles lasciamo la costa erbosa del Gennaio per raggiungerne la cima  (quota 1810m slm) dopo una mezz'oretta di portage . Per quanto lo scenario sia memorabile lo è ancora di più la discesa.........tutta a piedi col bici tra i coglioni al seguito, il tutto in un contesto di strapiombi e avvoltoi.[/Fine della concezione lucchese di mtb]

Buttati nel cesso circa 150 metri di dislivello e tre quarti d'ora buoni (motivazione in crisi) ci riallacciamo al percorso per sani di mente (quello che troverete nel file .gpx allegato) e si procede speditamente, in bilico tra Toscana e resto del mondo, sul crinale del Monte Uccelliera. Giunti al Passo del Cancellino iniziamo a discendere il CAI 121 (per il gli amici "il Cancellino") e alla bava si aggiungono le polluzioni. Contrariamente alle mie aspettative il sentiero si presenta scorrevole e guidato con una parte alta che taglia le praterie ed una bassa immersa nell'ombra delle faggete. Man mano che si scende il ritmo rallenta e al superflow segue qualche passaggio più ruvido e qualche tornante che, coi crampi sopratutto allo stomaco, digerisco male. Sono ore che razioniamo l'acqua e i pinoli e non sappiamo neanche se al Rifugio Segavecchia potremmo mettere qualcosa sotto i denti. Ci aiutano comunque l'adrenalina e qualche strana bacca dal sapore agrodolce.

Alla fine del Cancellino non ci vediamo più dalla fame (o forse è un principio di avvelenamento), raggiungiamo il Rifugio Segavecchia grazie al profumo di cervo fritto e allo schiamazzo dei bambini. Sono quasi le 2 e questo gioca a nostro favore nel trovare un tavolo libero, per il resto invece proprio non ci siamo.  Le tempistiche sono quelle di un matrimonio siciliano nonostante i pochissimi coperti: le bevande arrivano dopo mezz'ora, le pappardelle ai funghi dopo 1 ora, del dolce facciamo volentieri a meno visto l'andazzo e il caffè ce lo serviamo al bancone onde evitare di dover chiedere anche una camera per la notte. Ma in fin dei conti non siamo mica a lavorare......chissenefrega......le giornate sono belle lunghe, la pappardella tanta lana e una mezz'ora di stacco in più non è che ci faccia proprio schifo.........il problema è che il rientro Orsigna-Terradimezzo compendia un'ora e mezzo di macchina (porcozio)! 

Ci congediamo dagli altri bikers e a passo molto lento iniziamo a risalire la strada forestale di Segavecchia verso il crinale. Ci rimangono da coprire gli ultimi 600m di dislivello in poco più di 7 km. Mando avanti Ale in solitaria.......so già per certo che per riprendere un pò di brio nella pedalata mi ci vorrà almeno un'ora, ovvero il tempo necessario a dipanare la matassa di pappardella e funghi che mi si è incastrata dietro lo sterno.

La salita ricalca quella del Porta Franca: lunga, dolce e battuta, faggi a perdita d'occhio, qualche cascatella e la cartellonistica del Parco Regionale ad intrattenermi nei momenti di sconforto: scopro che il Tasso è pure un albero e che le sue bacche sono velenose (capace son quelle di prima), che il moflone è stato introdotto nel dopoguerra e non è che se la passi tanto bene,  eppoi nei bozzi vive un anfibio che mi somiglia un casino! il geotritone....... non ha i polmoni, respira dalla pelle e anzichè copulare la femmina sparge il seme in terra (cioè incredibile, me sputato!). Sono talmente galvanizzato da questa iniezione di cultura che arrivare ai 1500 è una giacchettata; dalla sella del Monte Bubiale si lascia la forestale per imboccare sulla dx il CAI 111 che copre gli ultimi 70metri di dislivello per raggiungere il crinale dai cui parte il CAI 5, l'ultima discesa.

Il CAI 5 non è una novità per dei riders giramondo navigati come noi. Nel lontano 2016 partecipammo al raduno del CAI di Lucca del Monte Gennaio e Cavallo; anche in quell'occasione emerse la vena autolesionistica del biker medio lucchese con un Periplo delle Ignude poco ciclabile (ma sopratutto privo di ignude) e una discesa del suddetto sentiero abortito nel finale causa ritardi e due decessi (l'età media dei partecipanti era un tantino alta, taluni aveva votato in gioventù il governo Depretis).

Ad ogni modo nella pace e serenità del tardo pomeriggio, con la luce che dirada tingendo di ambra il bosco, mi vesto a ciucco per l'ultima volta. Amo questi momenti in cui il respiro e la brezza tra gli alberi diventano una cosa sola, quando le parole perdono significato (per la verità quelle di Ale non ce l'hanno mai......) e ti senti come una radice piantata nel terreno, pesante e stanca ma nel posto giusto, contento di sapere che comunque vada a valle in modo o nell'altro ci arriverai.


E quindi giù a rotta di collo lungo il CAI 5 che sarà pure il sentiero caro a Terzani ma a noi enduristi provinciali e ignoranti non ce ne pò frega de meno (aho') e quindi daje de sgommate, nose press e berci da scimmie impazzite.....la mountain bike è anche questo, la licenza di spegnere il cervello e riaccenderlo il lunedì mattina alle 8. Tagliamo veloci nel bosco e mano mano che scendiamo vediamo i faggi incurvarsi e le radici contorcersi come dita quasi a volerci ghermire. Dal pratone dell'area picnic "I Ciliegi" proseguiamo dritti verso il tornante della via Paoluccio ma l'asfalto stavolta non ci avrà e ci buttiamo giù sulla destra su un tratto di sentiero erboso che ci conduce a Case Adria e quindi a Case Moretto, due piccoli agglomerati di abitazioni in pietra. Di qui in poi l'ultimo tratto immerso tra i castagni moderando il passo, un pò per il fondo smosso ma sopratutto per il traffico di umani che risalgono il sentiero diretti all'Albero con gli occhi. La piccola cappella votiva segna la fine del sentiero, la giornata volge al termine ma all'orizzonte l'alba di un nuovo ciclo (front 29 da 100mm). A presto.

25,4km 1590m+



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